Considerazioni sulla valenza operativa dei “droni”

 

Roma, 26 settembre 2019 – Airpress

 

Il contesto

Oggi si fa un gran parlare di mezzi aerei pilotati a distanza, i cosiddetti droni, chiamati così in base a un anglicismo che rimanda al ronzio persistente e fastidioso del maschio dell’ape: il fuco. L’interesse mediatico per questa nuova e straordinaria tecnologia  è tale da travalicarne  i meriti  tecnici e da generare una sorta di infatuazione che parrebbe, ad una prima analisi, mettere in discussione il futuro del mezzo aereo con il pilota a bordo.

Ci troviamo insomma ancora una volta ad un bivio, imposto dalla tecnologia, che può rendere obsoleto il mestiere del pilota? Difficile dirlo.

Occorre innanzitutto chiarire che quando si parla di droni ci si riferisce ad un universo di mezzi estremamente variegato, che parte dai nano-droni delle dimensioni di un insetto, e poi su su fino a mezzi aerei delle dimensioni e della complessità di un moderno velivolo da caccia. L’utilizzo dei droni è altrettanto variegato: spazia dagli ambiti meramente ludici, alla futuribile logistica porta a porta e infine al settore militare che è l’oggetto di questa analisi. Sempre nel settore militare un ruolo preminente è occupato da quei droni che per dimensioni e capacità sono vicini ai mezzi aerei con pilota a bordo. I mini e micro-droni, che pure esistono in gran numero nel settore militare, sono piuttosto delle estensioni sensoriali del soldato a terra più che a dei mezzi aerei veri e propri.

Non è esagerato affermare che l’avvento, avvenuto poco meno di venti anni fa, ha rappresentato una autentica rivoluzione in almeno due aspetti degli affari militari. In primis il sogno della invulnerabilità da sempre cullato dall’homo militaris. Questo miraggio perseguito tenacemente da sempre,  dapprima con l’adozione delle armature e successivamente con le armi da lancio, con il drone è apparso  a portata di mano. Inoltre il drone, con la sua autonomia superiore di almeno un ordine di grandezza a quella del pilotato, ha corretto una cronica debolezza del mezzo pilotato costituita della sua scarsa persistenza. In altre parole il pilotato, per forza di cose fra cui i limiti fisiologici dell’uomo a bordo, è costretto ad un “mordi e fuggi” sull’obiettivo, diversamente dal drone che può permanervi per un tempo indefinito.

Questi indubbi meriti del drone sono la ragione per cui, a partire dagli anni duemila, gran parte delle aeronautiche del mondo lo stanno impiegando con convinzione in compiti di sorveglianza e ricognizione. Qualche aeronautica è andata anche oltre e lo sta impiegando da tempo  in ruoli offensivi contro obiettivi “puntiformi”. La denominazione inglese di tali missioni: “targeted killings” è meno cruda della sua traduzione italiana: “omicidi mirati”, ma di questo si tratta. Al di la delle ovvie implicazioni etiche e giuridiche,  tale impiego sembra rivelare la sua scarsa efficacia militare per il suo carattere non risolutivo, e anzi sembra essere causa di ulteriore radicalizzazione dei conflitti.

Questa non è solo l’opinione di chi scrive ma sono le conclusioni del rapporto STIMSON 2014 “The task force on US drone policy” redatte dal generale John ABIZAID, già comandante US per IRAQ e AFGANISTAN, e da Rosa BROOKS professore della Georgetown University (www.stimson.org).

L’argomento merita l’approfondimento ad-hoc sviluppato di seguito

 

La suggestiva ma molto pericolosa prospettiva di armare i droni

 

Gli USA principalmente, ma anche altri Stati – Israele è un esempio – da tempo hanno armato i droni con missili i bombe. Il fatto in sé potrebbe sembrare poco rilevante e potrebbe sembrare una naturale militarizzazione della tecnologia. Quello che fa la differenza e complica il quadro sono gli obiettivi che vengono colpiti con i droni. Anziché contro obiettivi così detti di forza, cioè contro reparti organizzati militarmente oppure contro i fattori del potenziale bellico avversario, i droni armati USA vengono impiegati contro dei singoli individui.

Pur concedendo il massimo di pericolosità agli individui oggetto di attacco mirato dall’aria, una tale filosofia di impiego pone una serie di problemi di ordine etico, giuridico e anche di efficacia nel suo complesso che sono spinosi da risolvere.

Siffatto impiego pone però i principali problemi in quanto da sempre è compito alle polizie perseguire i singoli individui. Non si tratta di una semplice ripartizione di compiti con le forze armate ma è una esigenza legata al grande tema della inviolabilità della persona. Un tema talmente delicato che la grande maggioranza degli Stati, oltre ad attribuire questa esclusività alle forze di polizia ha condizionato il loro operare al “habeas corpus”. Infatti le forze di polizia, eccettuate le situazioni di forza maggiore e quelle di autodifesa, hanno sempre bisogno dell’avallo di una autorità terza, un magistrato, per qualsiasi azione su dei singoli individui che possa interferire con  il principio dell’inviolabilità personale.

L’ “habeas corpus” è un istituto evidente non contemplato dall’universo militare, strutturato da sempre per affrontare obiettivi di forza, per cui l’impiego militare di droni armati contro dei singoli individui viene a collocarsi in una sorta di limbo giuridico: ma c’è di più.

La cruda realtà è che ogni intervento militare di questo tipo, di fatto si configura come una applicazione di pena capitale. Escludendo tutte le considerazioni di ordine morale, che non sono poche e neppure secondarie, questo fatto fa sorgere sul piano procedurale giuridico  ulteriori problemi del tipo: quali le prove di colpevolezza? quanto sono valide? chi giudica? che possibilità di appello vengono offerte?…..

I problemi etici e giuridici si complicano ulteriormente se, come avviene spesso, i droni armati vengono impiegati anche su paesi diversi da quelli ove hanno luogo le operazioni militari e magari vengono condotti da personale avente status civile. Di conseguenza i tradizionali principi della legge sui conflitti armati che esigono, fra l’altro, la netta demarcazione dell’area delle operazioni, la scrupolosa definizione del legittimo combattente e la chiara separazione dei militari dai civili, per forza di cose finiscono per non essere rispettati.

Ammesso che le forzature alla legge internazionale sui conflitti armati e alla tradizionale etica militare siano lo scotto da pagare per conseguire dei significativi risultati militari sul piano tattico, non si può non interrogarsi sulle conseguenze a medio e a lungo termine dell’impiego generalizzato di droni armati contro singoli individui.

L’esperienza dell’utilizzo ormai pluriennale di tali mezzi in operazioni di contro-insorgenza e di contro-terrorismo purtroppo è deludente sul piano dei risultati. E’ vero che molti individui pericolosi sono stati “neutralizzati” negli anni ma è altrettanto vero che dei nuovi sono apparsi  prontamente per rimpiazzarli. L’impressione è che questi attacchi dal cielo, micidiali, impersonali e talvolta anche dolorosamente imprecisi, anziché fiaccare le volontà di combattere ottengano l’effetto opposto e trascinino all’infinito gli odi e i risentimenti che sono alla radice degli attuali conflitti. E’ un fatto che gli episodi terroristici e quelli di insorgenza non sono diminuiti ma semmai si sono ulteriormente radicalizzati.

Basterebbe quest’ultima constatazione sulla loro scarsa efficacia per consigliare cautela verso un impiego prolungato ed esteso dei droni armati come viene fatto oggi. Ma esistono anche altre controindicazioni.

La forzatura ai principi della legge internazionale sui conflitti armati costituisce un pericoloso precedente e potrebbe indurre altri paesi ad ulteriori violazioni con un imbarbarimento ulteriore dei conflitti di cui non se ne avverte il bisogno in questo momento storico. Infine la relativa impunità con cui avviene l’impiego di tali mezzi potrebbe abbassare la soglia per il ricorso alla forza militare, prima di aver espedito tutte le altre opzioni.

Paesi come l’Italia che già dispongono di droni, e che magari potrebbero essere tentati di dotarli di armamento per la malintesa ambizione di ampliare il potenziale della propria aeronautica, dovrebbero riflettere su tutte le possibile conseguenze che questo passo comporta. Fra queste  le responsabilità giuridiche e morali del loro impiego che ricadrebbero su  l’intera catena di comando, dal vertice politico fino ai livelli tattico-militari.

 

Infine, i limiti di questa tecnologia

La diffusione così rapida dei droni militari – armati e non – e l’interesse per le capacità che questi nuovi mezzi offrono, piano piano però stanno facendo emergere anche i limiti di questa tecnologia. Dei “targeted killings” si è già detto ma sussistono anche serie obiezioni all’impiego di droni armati contro obiettivi militari più ortodossi, in alternativa a dei cacciabombardieri con pilota a bordo. Le riserve spaziano dalla vulnerabilità di questi sistemi alla minaccia terrestre e aerea, alla scarsa flessibilità nei riguardi di obiettivi di opportunità e infine alla difficoltà di poter discriminare fino all’ultimo la legittimità dell’obiettivo.

Un altro limite molto serio è quello dei costi. I droni militari di classe più elevata hanno ormai dei costi comparabili con quelli dei caccia di ultima generazione. A questo va aggiunto il rateo di perdite per incidente di volo che fisiologicamente è di molto superiore rispetto ad un caccia con pilota a bordo.

Un limite infine sono le risorse richieste da una missione di drone in rapporto alla missione di un pilotato, per quanto concerne il personale dedicato alla conduzione e la quantità di banda elettromagnetica impegnata. Oltre al pilota il drone necessita costantemente di un intero equipaggio dedicato alla navigazione, alla elaborazione dei dati e alla loro analisi. Tutto questo impegna banda elettromagnetica che è una risorsa estremamente limitata e soggetta anche a interferenze cyber.

A di la di tutto è indubbia la fascinazione esercitata dal mondo dei droni fra il grande pubblico e anche fra i pianificatori militari. Questo per le capacità che offrono e soprattutto per le potenzialità che fanno intravvedere, si pensi alla logistica porta a porta, solo per fare un esempio. E’ tuttavia improbabile che questo possa mettere in discussione il ruolo del mezzo aereo pilotato, almeno nel settore militare. Insieme alle potenzialità infatti sono oggi già chiari e ben individuati anche i limiti dei droni e questo fa prevedere una loro affiancamento al pilotato piuttosto che una sostituzione.

 

Gen. S.A. (r) Stefano Panato

Consiglere Scientifico della Fondazione ICSA

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