Avanzata dell’ISIS nel teatro medio-orientale

by Icsa | venerdì, Gen 1, 2016 | 3777 views

Questo studio si colloca all’interno di uno specifico filone di analisi della Fondazione ICSA e rappresenta un aggiornamento del Secondo Rapporto sul terrorismo internazionale di matrice jihadista (presentato nel 2013) alla luce degli ultimi accadimenti nel teatro mediorientale ed in Libia.

Il Rapporto di ricerca rinviene il proprio presupposto metodologico e scientifico in alcuni workshop operativi svoltisi presso la Fondazione ICSA nella seconda metà del 2014, con la presenza di esperti di terrorismo, intelligence e difesa, analisti di politica estera appartenenti al mondo dell’informazione ed esponenti afferenti alle istituzioni e agli apparati della sicurezza nazionale.

L’evoluzione del quadro strategico nel teatro siriano-irakeno – Nel Rapporto “Evoluzione del terrorismo internazionale di matrice jihadista” presentato dalla Fondazione ICSA nel novembre 2013 nel corso di un convegno tenuto alla Camera dei Deputati, veniva denunciata l’esistenza di un asse qaedista al Nusra – ISIS operante nell’area irakena e proiettato fino alle alture del Golan, in Libano, ed in Giordania. La combinazione delle forze e degli obiettivi di al Nusra e dell’ISIS faceva temere una sorta di “Qaedistan” tra Siria ed Iraq con una importante capacità militare e terroristica, con la possibilità di reclutare ed addestrare un gran numero di volontari, anche occidentali (foreign fighters).

Le complesse dinamiche di sicurezza dell’area medio-orientale riscontrate allora si sono ulteriormente complicate con il recente proclama del 29 giugno 2014 da parte di Abu Bakr al Baghdadi con cui il leader dell’ISIS, autoproclamandosi califfo Ibrahim, ha dichiarato di aver costituito un califfato con un dominio posto tra il nord-est della Siria e l’Iraq occidentale. L’insorgere di queste ulteriori dinamiche di instabilità areale non sono state generate da logiche terroristiche vere e proprie ma da atavici rancori di una contrapposizione millenaria fra le due principali confessioni religiose, i sunniti e gli sciiti, ulteriormente esacerbata a causa della politica settaria del governo dell’ex premier irakeno Nouri al Maliki, che ha emarginato ed escluso da ogni forma di potere la componente sunnita del nuovo stato irakeno.

L’avanzata dell’ISIS ha destabilizzato ancora di più una vasta area in cui insistono rilevanti interessi nazionali ed europei con pesanti ripercussioni sull’economia e sugli investimenti delle imprese italiane all’estero, specie nel settore energetico, sovrapponendosi all’allarmante crisi già in atto fra Ucraina e Russia.

L’avanzata dell’ISIS e l’intesa con le tribù sunnite ed i gruppi baathisti – Quello che una volta era noto come il gruppo di “al Qaeda in Irak”, nel 2006 ha preso il nome di stato islamico dell’Irak e nel 2013 il nome di stato islamico dell’Irak e della grande Siria (ISIS)[1], intesa non tanto come Siria, ma come regione storica nel vicino oriente, confinante con il mar Mediterraneo ad ovest, con il deserto siriano ad est, con l’Egitto al sud e con l’Anatolia al nord. L’acronimo ISIS si rivolge ad est, ma il levante comprende anche e soprattutto Iran, lndia ed Indonesia per una saldatura con Afghanistan e Pakistan.

In pochissimo tempo l’ISIS ha messo a segno successi militari e politici creando di fatto una nuova entità territoriale, alleandosi con le tribù sunnite ed i gruppi del vecchio partito baath vicini a Saddam Hussein, sfruttando il loro desiderio di rivincita dal momento che prima disponevano di Forze Armate e strutture di sicurezza, peraltro ridimensionate dalla presenza delle unità militari occidentali.

Il modello “statale” e amministrativo dell’ISIS –  A partire dal 2013, con la conquista di città strategiche nei pressi della capitale Baghdad, l’ISIS si è strutturata come uno stato, amministrando risorse del territorio, persone e cose, al fine di rafforzarsi economicamente e militarmente, diventando di fatto un soggetto statuale con potere amministrativo ed economico, grazie alla vendita di petrolio, armi e beni primari, nonché con l’imposizione di tasse rivoluzionarie e con l’estorsione di denaro ai commercianti ed agli autotrasportatori, lucrando sulle attività illegali. Su queste basi, l’ISIS ha impostato un programma di organizzazione del territorio, ben radicato nella popolazione, servendosi dell’opera dei vecchi satrapi della Guardia Repubblicana di Saddam Hussein e di formazioni jihadiste addestrate.

Le ragioni dell’avanzata dell’ISIS ed il consenso della popolazione– È fuori di dubbio che tra le ragioni di breve periodo dell’avanzata dell’ISIS vi è stata una carenza di analisi del quadro siriano-irakeno che ha portato alla sottovalutazione della forza delle milizie islamiste e alla sopravvalutazione della resistenza dell’esercito irakeno. L’ autoproclamato califfato, per la prima volta, si pone come una forza jihadista in grado di coniugare le dispotiche modalità di un governo autoritario del territorio con una straordinaria capacità di ottenere il consenso della popolazione. Consenso probabilmente minoritario che si esprime innanzitutto nelle forme tradizionali del raccordo con i capi tribù sunniti, ma anche con l’ accettazione –sia pure passiva‒ di parte della popolazione. Un consenso che si basa su un elemento determinante: l’applicazione rigida  della più tradizionale e millenaria legge islamica (sharia) nella versione hanbalita. L’ISIS è espressione di un primigenio pensiero totalitario in cui prevale l’eliminazione dell’eterogeneo, del dissimile, dell’infedele, archetipo ideologico-politico totalmente condiviso con al Qaeda nei cui confronti il dissidio è unicamente di facciata, per cui non può essere ridotto a semplice espressione terroristica. Sul piano politico-religioso, l’ISIS è la risultante dell’ennesimo scisma musulmano o meglio di uno scisma interno allo scisma wahhabita. Lo scisma wahhabita si intreccia a sua volta con uno scisma khomeinista in campo sciita che persegue un fondamentalismo puritano estremo e che segna la frattura con la civiltà islamica nei suoi valori tradizionali. Lo scisma khomeinista ha trasformato la scelta del martirio in un precetto individuale, in un desiderio assoluto: uno scisma che ha fatto breccia anche nel mondo sunnita, con una motivazione religiosa fortissima, capace di intervenire ovunque si crei nelle società musulmane una qualche contraddizione, imponendone la sua logica jihadista di scontro permanente. Nonostante mai, negli scritti e nella tradizione musulmana, l’idea del Jihad (genere maschile) inteso come sforzo per raggiungere la perfezione spirituale abbia consentito l’uccisione di persone innocenti, siano esse musulmane o non, la perversione cieca e fanatica della jihad (genere femminile) è presa a giustificazione del massacro di innocenti e definisce l’estremismo degli attuali movimenti jihadisti.

Il disegno dell’ISIS lascia tuttavia intravedere un più ambizioso obiettivo che è quello di un reclutamento su scala regionale e globale, al fine di trasferire in Medio Oriente la struttura portante del jihadismo, attualmente presente nell’area afghana-pakistana, anche alla luce delle recenti dichiarazioni di alleanza con la nuova realtà e di progetto di estensione del califfato nell’area sud est asiatica (India, Bangladesh ed Indonesia) proclamate da al Zawahiri.

La jihad elevata a sesto pilastro dell’Islam. Forse anche sull’applicazione rigida della più tradizionale legge islamica, la sharia, con le sue modalità dispotiche ed autoritarie, si basa il consenso della popolazione al califfato, consenso che non arretra di fronte agli elementi che inducono orrore in occidente, come le uccisioni di massa degli sciiti considerati apostati, o degli yazidi o dei cristiani, nei cui confronti deve imporsi la jihad, considerata dovere assoluto di ogni musulmano ed elevata a sesto pilastro dell’Islam. Forse il tradizionale ed intrinseco sentire della necessità della persecuzione degli apostati e degli idolatri spiega anche il consenso di giovani sauditi provenienti da ricche ed ottime famiglie all’ISIS. Peraltro, vero è che nelle masse musulmane fortissima è ancora l’aspirazione verso la restaurazione dell’autentico Califfato, quello con la ”C” maiuscola, quello dei primi quattro Califfi.

Uno scenario di guerra non convenzionale e a conflittualità asimmetrica. Quello dell’ISIS è comunque pur sempre un governo di fatto, inserito non in uno scenario di guerra convenzionale ma sempre e comunque in quello di guerriglia o di conflittualità asimmetrica a causa del sotteso consenso che riscuote nelle popolazioni di credo sunnita. In sintesi una guerra atipica o non convenzionale, che prescinde dai trattati internazionali che regolano i conflitti tra gli Stati, che viene condotta con modalità terroristiche di inaudita ferocia e senza il rispetto dei più elementari diritti umani (ne sono evidente dimostrazione gli sgozzamenti di ostaggi e gli altri spaventosi supplizi cui vengono sottoposti i nemici o presunti tali, siano essi donne, bambini o vecchi). A ciò si aggiungono i messaggi minatori contro la coalizione di Paesi guidata dagli Stati Uniti per contrastare l’aggressione dell’ISIS e per soccorrere le popolazioni irachene, siriane e curde che ne subiscono le conseguenze, con aggressioni verbali che finora non si sono concretate in attacchi contro obiettivi occidentali fuori dalla regione teatro del conflitto.

Il contrasto all’avanzata dell’ISIS: – E’ largamente prevedibile che l’azione di contrasto al califfato, essenzialmente basata sui bombardamenti aerei, si limiterà a conseguire un freno alla sua espansione territoriale in Irak. E’ altrettanto certo che il califfato incrementerà dall’interno la sua pressione su Baghdad, grazie all’indiscutibile radicamento di cui gode nei quartieri sunniti della capitale. Esso infatti mantiene il vantaggio dell’iniziativa, mentre la coalizione promossa dagli USA nel settembre del 2014 durante un vertice della NATO in Galles, tende in realtà a muoversi sulla difensiva. In questo scenario, molti analisti prospettano apertamente la necessità di una qualche forma d’intesa –aperta o sotterranea− con l’Iran anche se le rivalità millenarie tra sunniti e sciiti restano incolmabili e non escludono criticità future. Il coinvolgimento dell’Iran potrebbe rappresentare un presupposto importante per la pacificazione e stabilizzazione dell’area, non essendo l’Iran membro della Coalizione a guida statunitense. Il compito di condurre un efficace contrasto alle milizie sunnite del califfato (data assenza e inaffidabilità attuale sperimentata nei fatti dell’esercito irakeno), non può quindi che essere affidato a una forza militare di terra riferibile alla Coalizione.

Lo sforzo della Coalizione: alla ricerca di un approccio integrato – Lo scenario mediorientale sta riservando non poche sorprese: l’Iran e gli Usa sono accomunati nel contrastare il pericolo dell’ISIS, così come l’Arabia Saudita, da sempre nemico dell’Iran, ma che adesso persegue lo stesso obiettivo contro la minaccia incombente e quindi è diventata suo tacito alleato. Analogamente può dirsi per la Turchia che si vede “costretta” a confrontarsi con i curdi che hanno salvato col loro intervento migliaia di yazidi minacciati dal genocidio. Si tratta di alleanze insolite o “contro natura” dal futuro incerto e, per certi versi, inquietante, perché le reazioni della pubblica opinione sono imprevedibili e potrebbero anche favorire scelte estreme.

Lo sforzo della Coalizione, pur se considerevole, è tuttavia condizionato da variabili complesse come l’eterogeneità della Coalizione a guida USA ed il ruolo della Turchia.

Infatti, gli Stati Uniti hanno costituito una Coalizione che include un insieme eterogeneo di Paesi, difficile da tenere insieme. Nella vasta Coalizione (Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Francia, Germania, Danimarca, Polonia, Turchia, Canada, Australia, Giordania, Arabia Saudita, Barhein, Emirati Arabi Uniti e Qatar) sono presenti anche Stati arabi che finora hanno assistito alle ‘performance’ di vari gruppi terroristici, con una buona dose di ambiguità, atteso che da più parti si ipotizza che i sostenitori che hanno alimentato il fenomeno jihadista e che alimentano ora anche l’ISIS, siano – in ultima analisi – basati in Qatar, Arabia Saudita, Kuwait e altri paesi dell’area del Golfo.

Inoltre, il supporto anti ISIS chiesto alle popolazioni curde della provincia autonoma irakena ‒individuando nei peshmerga la componente locale da sostenere con armi e peculiare addestramento per contrastare l’avanzata delle milizie del califfato‒ ha raffreddato la partecipazione della Turchia alla coalizione che vede in prospettiva una rinascita insurrezionale-terroristica delle sue province orientali abitate dai curdi.

Il ruolo dell’Intelligence e l’importanza della mediazione – Per contrastare l’avanzata dell’ISIS , l’attività di Intelligence, incentrata e mirata all’acquisizione del consenso della popolazione, non potrà che essere articolata su un linguaggio culturale comprensibile dalle diverse etnie e confessioni religiose in divergenza fra loro per individuarne elementi a fattor comune da porre a base per avviare un processo di appropriata mediazione. Si rende necessario altresì individuare i bisogni prioritari delle popolazioni locali, da soddisfare non con l’esborso in denaro, che finirebbe per alimentare ulteriormente le conflittualità o ingrossare i depositi dei signori della guerra, ma con forniture di materiali ed invio di tecnici specialistici per colmare carenze di bisogni primari e nel contempo creare occupazione.

Oltre alle scelte che inevitabilmente la Coalizione farà sul piano militare in teatro, occorre impostare una diversa strategia che tenga conto soprattutto della componente umana dell’intelligence (HUMINT), in analogia a quanto praticato circa cento anni fa, nel corso della prima guerra mondiale, quando la Gran Bretagna – influente membro della Triplice Alleanza – costituì in Egitto l’’Arab Bureau” con il compito di monitorare l’area dell’Impero Ottomano.

L’attività di Intelligence dovrà essere sviluppata mediante la costituzione di fusion centre (centro di fusione) a livello politico-strategico, ove confluiscano rappresentati politici degli stati membri della coalizione anti-ISIS, con poteri decisionali al fine di ricercare in primo luogo possibili intese fra le varie parti in causa della coalizione e costituire un’unica entità politica che assuma le responsabilità decisionali conseguenti alle informazioni che l’apparato di Intelligence della stessa potrà ricercare e fornire. Inoltre, una tale articolazione consentirebbe di basare l’attività di Intelligence soprattutto su operazioni di diplomazia parallela (finalizzate a ricercare e sviluppare opera di mediazione anche fra paesi interessati/coinvolti alla stabilità dell’area ed in particolare Pakistan, Iran, Arabia Saudita e Turchia), nonché a definire in ordine prioritario e di importanza gli obiettivi da neutralizzare comunicandoli al comandante militare delle forze della coalizione, per la successiva acquisizione.

Il teatro libico – Prima di definire le necessarie scelte strategiche dell’Italia, è necessario soffermarsi sui rischi di incombente destabilizzazione della Libia. Il quadro di sicurezza del Paese ha subito un progressivo deterioramento, provocato principalmente dalla recrudescenza degli scontri interclanici in alcune aree del Paese, dovuti a vecchi rancori tribali, nonché dal progressivo incremento della minaccia proveniente da gruppi di ispirazione salafita e jihadista, responsabili di azioni violente in danno di obiettivi istituzionali. Il perdurare di una situazione di rilevante precarietà sul piano della sicurezza offre maggiori possibilità di azione anche alle organizzazioni criminali locali, tra cui quelle che gestiscono il flusso di migranti dalla Libia verso l’Italia e quelle che  operano i sequestri di cittadini occidentali. Nell’area nordafricana il persistente problema della ingovernabilità e della non sicurezza in Libia ha innalzato pericolosamente i coefficienti di rischio per l’intero sistema produttivo e imprenditoriale italiano che trae da Libia, Russia, Algeria, Arabia Saudita e Iran la maggior parte delle sue risorse energetiche. In questo quadro, il Mediterraneo ha acquisito più che in passato una centralità strategica per le complesse questioni della sicurezza, con conseguenze rilevantissime sulla vita dei popoli di entrambe le sponde.

Le possibili scelte dell’Italia – E’ indispensabile ed urgente prevedere i possibili scenari di ulteriore aggravamento della crisi ed avere ben chiari tutti i precedenti storici in cui l’escalation militare ha prodotto esiti disastrosi, a causa dell’assenza di una strategia politica coerente con la conoscenza e la valutazione delle forze presenti sul teatro. Pericolo esaltato nel contrasto ad un’organizzazione che si presenta con le caratteristiche di una vera e propria realtà statuale.

Di seguito i possibili scenari e le eventuali indicazioni strategiche da considerare in seno alla Coalizione.

  1. Nel caso di possibile precipitare della situazione sul terreno o di un’azione terroristica in occidente, che porti gli alleati a chiedere un nostro maggiore impegno militare (probabilmente della componente aerotattica), si rende necessario un chiarimento profondo delle carenze strategiche sin qui evidenziate in seno alla Coalizione, prima di assumere qualsiasi iniziativa di carattere operativo nel teatro operativo di interesse.
  2. Si ritiene altresì utile, nel rispetto delle attribuzioni e dei ruoli in seno alla Coalizione, favorire un’intesa con la Lega Araba e con il re di Giordania Abdullah, per un possibile intervento italiano a protezione della frontiera tra la Giordania, l’Irak e la Siria. Con il Libano, la Giordania rappresenta infatti il più probabile obiettivo di un’ internazionalizzazione della jihad da parte del califfato, che considera apostati tutti i regimi e governi non teocratici dei Paesi musulmani. Il sostegno di queste realtà statuali e dell’Islam moderato, come abbiamo più volte sottolineato, è quindi fondamentale per contenere e sconfiggere il jihadismo qaedista. L’opzione giordana, che ovviamente richiede una complessa azione diplomatica e di Intelligence, permetterebbe al nostro Paese di assumere un impegno di altissimo valore strategico. Al riguardo, sarebbe necessario avviare un’attività di Intelligence su contatti privilegiati con la Lega Araba e con il re di Giordania Abdullah che vanta una tradizione di relazioni diplomatiche e di scambi informativi sia con l’Italia sia con la Gran Bretagna, che facciano da filtro per gli interventi militari che solo i risultati di una appropriata ed accentrata raccolta informativa suggerirà di perseguire.

In tal modo si stempererebbe quella leadership politica che l’Iran e/o l’Arabia Saudita intendono assumere nella lotta anti ISIS e giustificare agli occhi sia degli sciiti sia dei jihadisti irriducibili il sostegno militare che i Paesi del Golfo vorranno fornire alla coalizione a guida statunitense.

In questo quadro, c’è l’esigenza di conferire centralità alla HUMINT, sostenendo, nella risoluzione del conflitto in corso uncomprehensive approach” sul modello dell’”Arab Bureau” (costituito in Egitto dagli inglesi durante la prima guerra mondiale con il compito di monitorare l’area dell’Impero Ottomano), nonché promuovendo la costituzione in Giordania di “fusion centre” a livello di Intelligence in grado di perseguire i seguenti obiettivi:

-ricercare possibili intese fra le varie parti in causa della coalizione e costituire un’unica entità politica che assuma le responsabilità decisionali conseguenti alle informazioni che l’apparato di Intelligence della stessa potrà ricercare e fornire;

-individuare il malcontento delle tribù arabe presenti nel teatro al fine di acquisirne il consenso (come già avvenuto con l’”Arab Bureau” nel corso del primo conflitto mondiale);

-basare l’attività di Intelligence soprattutto su operazioni di diplomazia parallela finalizzate a ricercare e sviluppare opera di mediazione anche fra paesi interessati/coinvolti alla stabilità dell’area ed in particolare Russia, Iran, Arabia Saudita, Pakistan e Turchia;

-sottoporre le informazioni acquisite ad esperti analisti di intelligence della coalizione affinché forniscano obiettivi da conseguire alla componente militare;

-definire in ordine prioritario e di importanza gli obiettivi da neutralizzare comunicandoli al comandante militare delle forze della coalizione, per la successiva acquisizione.

  1. Sarebbe opportuno coinvolgere gli alleati della Coalizione nelle regole d’ingaggio del nostro contingente Unifil in Libano, a fronte del  precipitare della tensione tra sciiti (Hezbollah) e profughi sunniti (infiltrati da milizie del califfato e di al Nusra nella valle della Bekaa). Non è escluso infatti che il contingente Unifil, già coinvolto dalla battaglia di al Quneitra sul Golan, si trovi immerso in uno scenario radicalmente diverso da quello ipotizzato per la missione.
  2. Prevedere un’appropriata presenza della componente Intelligence in Libia a tutela degli interessi vitali nazionali. In questo quadro, favorire mirati rapporti con le aziende nazionali che ivi operano per condividere/acquisire informazioni utili all’elaborazione di contromisure ai fini della sicurezza, con l’eventuale impiego, qualora possibile, di forze speciali inviate sul campo. Sensibilizzare le società che operano in quell’area all’impiego di contractor che possano interfacciarsi con il personale dell’Intelligence presente sul campo.

Il ruolo degli apparati giudiziari nel contrasto al terrorismo jihadista in Italia: una Procura Nazionale Antiterrorismo? – Si impone una profonda riflessione sull’adeguatezza delle attuali strutture giudiziarie a far fronte alle nuove sfide eversive e terroristiche nazionali ed internazionali. Più idonea ad affrontare tali sfide sembrerebbe una struttura che potremo chiamare Procura Nazionale Antiterrorismo (PNA) a cui attribuire la competenza a svolgere tutte le indagini per reati di terrorismo ed eversione, in seno alla quale strutturare una banca dati nazionale ed internazionale della materia. Una sottolineatura appare importante al riguardo. Tale Procura Nazionale, contrariamente alla Direzione Nazionale Antimafia, non dovrebbe avere solo poteri di coordinamento, ma poteri di indagine diretta  e di direzione rispetto alle Procure distrettuali a cui potrebbero essere delegate dalla PNA indagini per reati aventi valenza solo territoriale.

APPENDICE

 

  1. Il rischio per le imprese italiane nelle aree di crisi

 

Per l’elaborazione della mappa del rischio per le imprese italiane all’estero si è concentrata l’analisi su quelle aree del pianeta caratterizzate da elevati livelli di minaccia terroristica ed ove sono presenti interessi vitali nazionali, insediamenti e investimenti delle imprese italiane. In questa ottica, ICSA ripropone, aggiornata al 2014, una graduatoria di stati basata sull’Indice Sintetico di Rischio per le imprese italiane nelle aree di crisi, elaborato sintetizzando numerose variabili quantitative e qualitative (eventi di security[2], frequenza, intenzionalità e complessità di tali eventi, capacità dell’attaccante).

Indice Sintetico di Rischio per le imprese italiane nelle aree di crisi

2011 2012 2013 2014
SOMALIA 9,51 SOMALIA 9,01 SIRIA 9,51 SIRIA 9,71
CONGO RDC 8,35 YEMEN 8,71 SOMALIA 8,88 CONGO RDC 8,88
SUDAN 8,12 SIRIA 8,65 YEMEN 8,53 SOMALIA 8,65
YEMEN 7,99 CONGO RDC 8,65 PAKISTAN 8,47 PAKISTAN 8,59
PAKISTAN 7,59 SUDAN 8,12 REP. CENTRAFRIC. 8,45 REP. CENTRAFRIC. 8,59
REP. CENTRAFRIC. 7,59 IRAK 7,82 CONGO RDC 8,39 IRAK 8,53
INDIA 7,47 PAKISTAN 7,76 SUDAN 8,18 YEMEN 8,53
IRAK 7,41 REP. CENTRAFRIC. 7,59 IRAK 7,76 EGITTO 8,29
SIRIA 7,24 NIGERIA 7,18 ALGERIA 7,53 SUDAN 8,18
RUSSIA 6,71 KENYA 7,18 NIGERIA 7,29 LIBIA 7,71
NIGERIA 6,59 INDIA 7,01 EGITTO 7,29 NIGERIA 7,59
FILIPPINE 6,59 IRAN 6,71 RUSSIA 7,29 SUD SUDAN 7,59
IRAN 6,35 RUSSIA 6,71 LIBIA 7,01 ALGERIA 7,53
EGITTO 6,35 EGITTO 6,94 INDIA 6,88 UCRAINA 7,53
KENYA 6,29 FILIPPINE 6,59 FILIPPINE 6,82 MALI 7,32
ALGERIA 5,94 LIBIA 6,49 IRAN 6,51 RUSSIA 7,31
LIBIA 5,82 ALGERIA 6,47 KENYA 6,29 MYANMAR 7,00
TUNISIA 5,53 INDONESIA 5,41 INDONESIA 5,59 IRAN 6,88
INDONESIA 5,29 KAZAKHSTAN 4,94 TUNISIA 5,29 INDIA 6,88
MAROCCO 4,65 TUNISIA 4,71 MAROCCO 4,65 FILIPPINE 6,82
KAZAKHSTAN 3,71 MAROCCO 4,65 KAZAKHSTAN 4,47 KENYA 6,71

 

La minaccia è stata classificata secondo i seguenti valori:

BASSO (VERDE 0 – 5,0)

ATTENZIONE (BLU 5,1 – 6,5)

ELEVATO (GIALLO 6,6 – 8,0)

ALTO (ARANCIONE 8,1 – 9,5)

GRAVE (ROSSO 9,6 – 10)

 

 

 

 

 

 

  1. Vittime del terrorismo jihadista nel mondo

La tabella l evidenzia il numero dei morti causati da attentati con più di 15 vittime, a livello planetario, nel periodo 1993-2014. L’analisi disaggregata dei dati per anno, mostra che, per questa tipologia di attentati (più di 15 vittime), dopo il picco compreso tra l’11 settembre 2006 ed il 10 settembre 2007 (5.570 vittime), si sono registrate nell’ultimo quadriennio 2.323 vittime nel periodo 11.09.2010-10.09.2011, 2.655 nel periodo 11.09.2011-10.09.2012, 3.122 nel periodo 11.09.2012-10.09.2013 e 2.010 nel semestre 11.09.2013-10.03.2014.

Tabella 1 – Numero di morti causati da attentati terroristici con più di 15 vittime a livello planetario (periodo 1993-2014) Punto 0 = 11 settembre 2001

Fonte: elaborazioni ICSA/AISE su dati del Center for Systemic Peace (www.systemicpeace.org)

Disaggregando ulteriormente il dato e facendo riferimento all’ultimo semestre 11.9.2013-10.3.2014 (tabella 2), il Paese con il maggior numero di vittime è stato l’Irak (1.250), mentre un trend decrescente si evidenzia nel teatro afghano ove si sono registrate 39 vittime (erano state 132 nel periodo 11.9.2012-10.9.2013).

Paese Numero di vittime
11.09.2008 – 10.9.2009 11.09.2009 – 10.9.2010 11.09.2010 – 10.9.2011 11.09.2011 – 10.9.2012 11.09.2012 – 10.9.2013 11.9.2013 -10.3.2014 TOTALE
Irak 1.451 1.342 887 1.010 1.481 1.250 7.421
Pakistan 607 1.471 732 355 745 185 4.095
Afghanistan 175 260 339 296 132 39 1.241
Nigeria 0 0 129 458 82 177 846
Siria 17 0 0 232 400 118 767
Somalia 76 116 0 115 70 44 421
India 112 209 18 0 16 0 355
Yemen 16 0 24 189 0 52 281
Russia 25 88 36 0 0 34 183
Iran 31 73 39 0 0 0 143
Norvegia 0 0 77 0 0 0 77
Uganda 0 76 0 0 0 0 76
Libano 0 0 0 0 74 23 97
Sri Lanka 72 0 0 0 0 0 72
Cina 0 0 0 0 47 0 47

-continua tabella

Paese Numero di vittime
11.09.2008 – 10.9.2009 11.09.2009 – 10.9.2010 11.09.2010 – 10.9.2011 11.09.2011 – 10.9.2012 11.09.2012 – 10.9.2013 11.9.2013 -10.3.2014 TOTALE
Turchia 0 0 0 0 46 0 46
Niger 0 0 0 0 29 0 29
Egitto 0 0 25 0 0 16 41
Marocco 0 0 17 0 0 0 17
Kenya 0 0 0 0 0 72 72
TOTALE 2.582 3.635 2.323 2.655 3.122 2.010 16.327

* Gli ultimi dati disponibili si riferiscono al semestre 11.9.2013-10.3.2014.

Fonte: elaborazioni ICSA/AISE su dati del Center for Systemic Peace (www.systemicpeace.org)

  1. Ruolo degli apparati giudiziari italiani nel contrasto al terrorismo jihadista

Il terrorismo jihadista che si ispira allo stato islamico ha, fino ad ora, diretto le sue azioni prevalentemente all’interno dei territori costituenti il teatro di guerra, limitandosi nei confronti dell’occidente a manifestazioni generiche di minaccia ed a pubblicizzare l’esecuzione delle sentenze di morte nei confronti degli ostaggi stranieri attraverso il loro sgozzamento; ciò con lo scopo di riuscire ad alimentare contestualmente, da un lato, la paura e lo sdegno della cultura occidentale e, dall’altro, il desiderio delle frange islamiche estremiste a partecipare alla guerra santa (la jihad) in territorio irakeno e siriano.

Tuttavia, da questa raffigurazione della realtà nasce l’esigenza per lo Stato italiano di seguire le vicende jihadiste sul proprio territorio, monitorando le reazioni dei soggetti che condividono ed appoggiano, almeno ideologicamente, la guerra santa.

Questo monitoraggio viene certamente effettuato, con gli strumenti e le modalità proprie, dagli apparati di intelligence e delle forze di polizia e sono spesso finalizzati ad individuare soggetti attivi sul territorio per determinarne la loro espulsione.

Ma a questo monitoraggio se ne affianca un altro più squisitamente giudiziario che punta all’analisi di tutte quelle situazioni suscettibili di degenerazione.

In questa direzione, si muovono le autorizzazioni relative alle intercettazioni  preventive, il controllo sistematico delle fonti aperte e dei social networks, l’analisi del radicalismo carcerario e le indagini processuali dirette all’accertamento di specifici reati.

Questo disegno di contrasto complessivo è, però, malgrado un parziale coordinamento delle forze di polizia, insufficiente proprio per le caratteristiche del contrasto giudiziario. Esso è, infatti, privo di sistematicità e di coordinamento per la natura dell’organizzazione giudiziaria diffusa sul territorio e non organizzata gerarchicamente. E se l’accentramento nelle procure distrettuali (cioè nelle procure che hanno sede nei capoluoghi di distretto delle Corti di Appello) di tutte le indagini sul terrorismo ha costituito un primo passo per una omogeneizzazione degli interventi, tale misura appare ancora inadeguata per affrontare il problema nel suo complesso.

Ed, invero, la mancanza di una banca dati nazionale in cui far confluire tutti gli elementi emersi nel corso delle indagini impedisce la piena circolazione della conoscenza tra le varie Procure. E ciò incide negativamente sulla capacità di ricostruire un quadro unitario della presenza jihadista in Italia, quadro reso più problematico per le caratteristiche dei flussi jihadisti, sostanzialmente fluidi e spesso privi di radicamento territoriale stabile.

Proprio quest’ultima osservazione si coniuga con quella secondo cui anche le altre realtà eversive o antagoniste presenti in Italia hanno prevalentemente le stesse caratteristiche.

Ed invero il terrorismo di matrice anarchica, come l’attività dei gruppi dell’antagonismo sociale, dei NO TAV ed antisemiti oggi si sviluppano al di fuori di organizzazioni aventi sedi stabili e strategie discusse ed approvate nel dettaglio da organi statutari: la nuova frontiera del terrorismo e dell’eversione interna si sviluppa come quella jihadista sul web o con articolazioni mobili e diffuse sul territorio nazionale.

Tutto ciò impone una profonda riflessione sull’adeguatezza delle attuali strutture giudiziarie a far fronte alle nuove sfide eversive e terroristiche nazionali ed internazionali.

Più idonea ad affrontare tali sfide sembrerebbe una struttura che potremo chiamare Procura Nazionale Antiterrorismo (PNA) a cui attribuire la competenza a svolgere tutte le indagini per reati di terrorismo ed eversione, in seno alla quale strutturare una banca dati nazionale ed internazionale della materia. Una sottolineatura appare importante al riguardo. Tale Procura Nazionale, contrariamente alla Direzione Nazionale Antimafia, non dovrebbe avere solo poteri di coordinamento, ma poteri di indagine diretta  e di direzione rispetto alle Procure distrettuali a cui potrebbero essere delegate dalla PNA indagini per reati aventi valenza solo territoriale.

[1] O anche di stato islamico (IS).

[2] In questa sede, per eventi di security si intendono: attacchi terroristici, episodi di criminalità, eventi socio-politici (manifestazioni, rivolte, ecc.), operazioni di polizia di particolare rilievo, rinvenimento armi/munizioni, atti di pirateria, sequestri di persona, sabotaggi.

Like it? Share it!

Leave A Response